“Don’t scab for the bosses / Don’t listen to their lies / Us poor folks haven’t got a chance / Unless we organize”Florence Patton Reece
Sabato 17 settembre, Piacenza, davanti alla stazione della città lombardo-emiliana inizia, sotto un sole rovente, tramutatosi dopo un’ora in temporale, il concentramento del corteo indetto dall’USB per portare in città la vertenza dei facchini della GLS. Il mercoledì notte precedente Abd Elsalam Ahmed Eldanf, cinquatatreenne padre di cinque figli, era morto investito da un camion del corriere durante un picchetto ai cancelli.
I numeri del concentramento aumentano di minuto in minuto, giungono delegazioni di lavoratori della logistica da tutto il distretto piacentino e lombardo, delegazioni di sindacati di base, lavoratori autoconvocati, molti centri sociali emiliani e lombardi. Presente anche una delegazione dei compagni dei lavoratori autoconvocati di Milano, compresi compagni dell’USI milanese e della FAM. Ovviamente assenti i sindacati della triplice. Clima teso: la stazione è blindata, evidentemente si teme un tentativo di bloccare il fondamentale snodo ferroviario. Ma blindate sono anche le vie intorno, una capillare campagna di terrorismo, con tanto di delirante comunicazione della Confesercenti sul previsto arrivo di “mille-millecinquecento black block [sic!]” ha portato molti commercianti ad abbassar serranda.
Il corteo parte, si ingrossa mano a mano, i numeri fin da subito si capisce che sono alti: qualche migliaio di persone. E non è poco per un corteo indetto neanche quarantotto ore prima, che quindi ha mobilitato per lo più chi risiede nel raggio di poche centinaia di kilometri. Ma sopratutto i protagonisti del corteo sono i lavoratori della logistica: tanti, determinati, incazzati. Non il frammentato ceto politico del sindacalismo di base di derivazione M-L ma i lavoratori stessi creano l’unità di ranghi e lotte. Piacenza è una città a cavallo tra la Lombardia, il Piemonte e l’Emilia Romagna. Snodo ferroviario e autostradale tra Torino, Milano e Bologna. Nell’ultimo decennio il settore della logistica, già attivo in città, è cresciuto: grandi colossi internazionali hanno qua portato le loro piattaforme logistiche. Amazon, Ikea, corrieri di grosse dimensioni come GLS, BRT, TNT. Il settore industriale locale, meccanica, energia, vetro, cemento, da il suo contributo.
I lavoratori della logistica sono quelli che permettono ad Amazon di consegnare la merce in meno di ventiquattro ore dall’ordine, il basso costo di spedizione pagato dal cliente è permesso dallo sfruttamento pesantissimo a cui soggiaciono questi lavoratori. La logistica è un settore sempre più importante per l’economia odierna, per quanto spesso ci si racconti la favola di un’economia completamente digitale. La lotta dei lavoratori della cooperativa che lavora alla piattaforma logistica GLS, cooperativa farlocche come tante in questo ambito, è una delle tante lotte che negli ultimi anni ha investito il settore della logistica nel distretto piacentino. Lotte spesso vittoriose grazie alla capacità di resistenza, alla volontà di lotta, dei lavoratori che non si sono fatti intimidire dalle sprangate e dalle minacce di crumiri e strikebreakers, non si sono fatti intimidire dalle manganellate di celerini e carabinieri, dalla mancanza di solidarietà, anche solo a parole, da parte della triplice sindacale, che nella vertenza Bormioli pensò bene di sfilare a fianco dei padroni per chiedere la fine delle agitazioni, tanto per dimostrare ancora una volta che cosa sia la concertazione sindacale.
Abd Elsalam è stato il primo morto di queste lotte dei lavoratori della logistica. Ma ci si era andati vicini altre volte, la pratica di fare avanzare i camion contro i picchetti non è nuova. La risposta c’è stata, compatta e forte. Se c’è una cosa che le lotte della logistica insegnano è che rilanciare la lotta in campo economico è possibile, difficile, ma possibile.
Certo, le contraddizioni ci sono. Il proletariato della logistica è per la maggior parte di origine immigrata, spesso i padroni e padroncini hanno sfruttato divisioni interetniche, benagalesi contro indiani, indiani contro pakistani, pakistani contro magrebini. Durante il corteo un gruppetto lanciava la shahada, la dichiarazione di fede islamica, a mo’ di slogan, ad intervallare gli slogan “GLS mafia” e il sempreverde “pagherete caro, pagherete tutto”. Un altro sventolava la bandiera nazionale egiziana. Contraddizioni che vanno superate e chi è internazionalista può farlo molto meglio di chi si rifugia nei miti sovranisti e terzomondisti.
Nei mesi scorsi molto si è parlato, ma non abbastanza e spesso ad mentula canis, di Giulio Regeni, partito dall’Italia per andare a studiare i sindacati indipendenti egiziani e ucciso dagli sgherri del governo del Cairo. Abd Elsalam era partito dall’Egitto con la famiglia, lavorava alla GLS di Piacenza, e quella notte era a protestare a fianco dei suoi compagni pur non essendo coinvolto direttamente dalla vertenza, per solidarietà nei confronti dei colleghi. Regeni poteva fare il dottorato su qualcosa di meno pericoloso e Abd Elsalam poteva starsene a casa o andare a lavorare al posto di scioperare per una vertenza che nemmeno lo riguardava di persona. Entrambi hanno fatto una scelta di campo. E noi con loro.
lorcon